Messico E Magia: Gli Ambasciatori Italiani Del Mezcal
Mayatl, la dea della fertilità, è ancora adorata dai maestri mezcaleri durante le fasi di produzione. Basterebbe questo per descrivere il rapporto viscerale che il Messico ha con il suo distillato più atavico, celebrato il 21 ottobre con il Mezcal Day. Il cuore ribollente e vivo a metà tra le due Americhe, diviso in due anime diversissime, eppure così vicine: il nord che cresce sotto gli effluvi dell’influenza statunitense, dove Hollywood è un sogno, i businessmen vanno in giacca e cravatta e si combatte contro un muro. Il sud che invece conserva fiero la sua identità, dove ci si muove in autostop e le porte sono sempre aperte; più che di un distillato, si tratta di autentica cultura liquida, quella che dal 2013 è descritta e protetta sotto l’egida del Consorzio del Mezcal (Consejo Regolador del Mezcal), e che dal 2018 parla anche un po’ di italiano.
Quasi quattro anni fa, infatti, Cristian Bugiada e Roberto Artusio, entrambi da Roma, sono stati insigniti della fascia di Ambasciatori del Mezcal per conto del Consejo (unici in Italia, ne esistono sei nel mondo). Il viaggio però parte da ben più lontano. I viaggi, anzi: “Più di venticinque, ormai”, racconta Cristian. “A volte per mesi, altre per un solo fine settimana. Ma anche in questo caso c’è da tornare molto più indietro, a un Bar Show di Parigi di quasi dieci anni fa al quale in realtà non riuscii a partecipare. Ci andò un amico che poi mi mostrò le foto fatte alle bottiglie in esposizione, e ne vidi una che sembrava spiccare ben al di sopra delle altre: il design delle etichette di mezcal è un tratto distintivo, identitario”. Poi un pacco dall’estero che gli consegna la bottiglia, l’assaggio, l’incantesimo: “C’è poco da poter spiegare, in Messico raccontano che è il mezcal a trovarti, non viceversa. Ed è quello che è successo a me”.
Erano anni in cui si faticava a trovare bottigliere che avessero più referenze, il prodotto era ai limiti dello sconosciuto. L’incontro con Artusio, una delle menti dietro il progetto Jerry Thomas, è una molla fondamentale per Cristian: “Ci si conosceva già, l’uno cliente abituale dell’altro (Bugiada aveva già lanciato Freni e Frizioni, ndr); Roberto fa bar da trent’anni, è un’istituzione. Abbiamo cominciato a parlare di mezcal da semplici appassionati, aggiornandoci in continuazione e portando avanti di fatto uno studio, una ricerca. Un giorno decidemmo di organizzare una presentazione, per far capire anche a noi stessi fin dove avremmo potuto spingerci: me la ricordo ancora, a Firenze, davanti a settanta persone”.
Le trasferte in Messico sono il passo immediatamente successivo, esperienze fondamentali per comprendere ogni goccia del distillato, ogni granello di polvere del paese, nel biennio tra il 2014 e il 2016. Una caccia continua fatta di libertà e scoperta, “un inseguimento capillare per trovare prodotti, tecniche, sensazioni impensabili. L’intero universo mezcal è fatto di ritmi e abitudini inimmaginabili, e servono tempo e apertura mentale per poterne comprendere la vera natura”. Era tutto pronto, il salto definitivo è di nuovo in Italia: l’apertura de La Punta Expendio de Agave, un tempio dedicato a mezcal, tequila e distillati messicani minori. Agli occhi dei più una follia, rivelatasi però un coraggioso colpo di genio: “Abbiamo aperto quando ancora si faticava a comprendere cosa davvero fosse il mezcal, e nel 2018 l’Italia è salita al quarto posto nel mondo per consumo. È stato forse uno dei primi veri sforzi per cambiare le cose”.
Di fronte all’intramontabile richiesta di aperitivi e ricette classiche, la missione di Bugiada e Artusio vira verso l’educazione consapevole, che spinga il consumatore a comprendere l’alternativa. E per farlo, serve un lavoro invisibile e profondissimo: “Per trasmettere qualcosa a un ospite, serve prima conoscerla a fondo: abbiamo sfruttato quello che poteva essere un punto debole, ovvero una proposta verticale su un prodotto all’epoca quasi sconosciuto, trasformandolo nel nostro vantaggio. Oggi chiunque sia incuriosito da Margarita, Paloma e simili, viene da noi“. Una Mecca per chi si fida ed è pronto all’approccio strepitoso con il mezcal, che “si divide in tradizionale, artigianale e ancestrale. Gli ultimi due sono praticamente impossibili da descrivere a parole”.
Adorato dai bartender, intrigante per gli appassionati: e sono entrambe le categorie a favorirne l’esplosione: “I professionisti devono veicolare la curiosità dei consumatori. Di certo è un terreno fertile per gli addetti ai lavori, ma in generale può attecchire con chiunque, se si lavora bene. È quello che stiamo cercando di fare noi: rendere la nostra miscelazione più semplice e replicabile possibile. Per questo abbiamo creato il progetto Galacticos, con cui proponiamo i bestseller classici, ma anche una serie di drink storici che abbiamo riscoperto e provato a bilanciare, così che domani gli ospiti possano provarlo da noi, e andare da altri a chiedere lo stesso, aiutandoci a portare in giro la cultura del mezcal”. Ma in Messico si beve davvero così miscelato? “Il Paloma è il più popolare in assoluto, perché facile, fresco, conviviale. La bevuta più apprezzata però è quella liscia, è l’unica versione che davvero dimostra tutto il potenziale del prodotto. Semplicità è la parola d’ordine”.
Tribale, autentico, pieno. Ma anche altre centinaia di possibili caratteristiche, tutte raccolte nell’aroma che ricorda la terra, il fuoco, la tradizione. Quanta cultura che ruota attorno al mezcal, e quanto ancora c’è da fare per poterlo valorizzare come merita: “L’unico modo per far crescere mezcal è conoscerlo prima, e saperlo comunicare poi. Un consumatore che non conosce il prodotto deve potervisi avvicinare facilmente, e per questo servono prodotti di qualità: se il consumo dei distillati d’agave rimane ancora collegato ad abitudini giovanili scriteriate, non si andrà mai da nessuna parte. E soprattutto serve trasmettere bene quanto contenuto ci sia dietro un solo sorso, facendo capire che non ci sono altri prodotti paragonabili”. Sono solo piccoli aiuti. Perché alla fine sarà sempre il mezcal, a trovare noi.
a cura di Nicola Scarnera e Carlo Carnevale